Urge un Piano nazionale per il salvare il mais

La maiscoltura da alcuni anni a questa parte è in grave sofferenza. Le ragioni sono molteplici, ma le principali sono da ascrivere ai mercati, le cui quotazioni nazionali e internazionali rendono difficile fare quadrare i conti colturali; agli aspetti sanitari con il rischio aflatossine; ai costi di produzione in costante crescita ed alla impossibilità per il nostro Paese di poter ricorrere alle biotecnologie innovative.

Nella consapevolezza di questa situazione e della strategicità del mais per l’agricoltura, la zootecnia nazionale ed i prodotti di pregio che ne derivano, si è costituito lo scorso anno un gruppo tecnico di lavoro per cercare di evidenziare queste criticità e proporre adeguate soluzioni. Del gruppo fanno parte ricercatori, agricoltori, tecnici, esponenti dell’indotto a monte e a valle della maiscoltura.

Lo scorso 15 marzo una delegazione in rappresentanza di questo qualificato gruppo di lavoro ha presentato al ministero dell’agricoltura un primo frutto del loro lavoro: un piano per il rilancio della maiscoltura in Italia.

«Abbiamo presentato una sintesi del lavoro svolto sulla maiscoltura durante lo scorso anno», dice Amedeo Reyneri, professore ordinario di agronomia all’Università di Torino e sostenitore di Assomais.

«La nostra presentazione al direttore generale del Mipaaf Felice Assenza, ha messo in luce le criticità del sistema maidicolo italiano, che rappresenta pur sempre la principale coltura nazionale: nel corso del 2017 sono stati coltivati a mais 650 mila ettari con una produzione complessiva di sei milioni di tonnellate.Per coprire il fabbisogno interno abbiamo dovuto ricorrere all’importazione di 6,7 milioni di tonnellate, pari al 53%del fabbisogno nazionale. Considerando che nei primi anni duemila eravamo autosufficienti, è stato fatto un bel passo indietro. Siamo di fronte ad un deficit economico di 1,2 miliardi, tale è il valore del mais importato. Di fronte a questo quadro, abbiamo chiesto al Mipaaf di prenderne atto e di farsi carico di questa situazione, inserendo la criticità del mais a l l’interno del piano cerealicolo nazionale».

All’incontro al Mipaaf, insieme ad una delegazione di Confagricoltura, era presente anche Cesare Soldi, consigliere della Libera e presidente di AMI, l’associazione dei maiscoltori italiani, che ha partecipato attivamente ai lavori del gruppo tecnico. «Ad oggi non ci sono alternative credibili al mais», afferma Soldi. «Il settore deve però invertire rotta. E’ necessario predisporre un piano maidicolo nazionale, ad oggi inesistente. A partire dalla promozione e dal sostegno alle innovazioni nel campo delle applicazioni genetiche, dell’agricoltura di precisione, dei sistemi irrigui, della difesa e delle lavorazioni. Tutto per aumentare rese e sanità del prodotto, e di conseguenza la nostra redditività. Senza dimenticare la promozione e premiazione dei contratti di filiera».

Al termine dell’incontro, il direttore Assenza ha assicurato la preparazione di un documento di sintesi da sottoporre al prossimo ministro. Così da far ritornare in primo piano e prioritaria in termini d’azione una coltura che tanto rappresenta; non solo per l’economia agricola, ma anche nella tradizione culturale e popolare. Tra coloro che hanno lavorato al progetto per il rilancio della maiscoltura anche Carlotta Balconi, direttore del Crea di Bergamo e sostenitrice di Assomais, che vanta una lunga e consolidata tradizione sulla maiscoltura.

Articolo a firma di Ildebrando Bonacini, Vice direttore vicario della “Libera Associazione Agricoltori Cremonesi” estratto pubblicato per gentile concessione da “La Provincia” di domenica 25 marzo 2018.

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2024 Assomais, tavolo di confronto per la filiera maidicola • Credits Slowmedia