Cambiamento climatico e aflatossine: binomio preoccupante

Non è solo una questione di eventi estremi e profondi squilibri negli ecosistemi terrestri, adesso è anche una questione di salubrità dell’alimentazione animale e umana.
A conferma dei gravi danni del riscaldamento globale arrivano i risultati di un recente studio pubblicato sulla rivista Nature-Scientific Reports. A condurlo una equipe di ricercatori internazionali, con un ruolo dominante degli italiani. Gli autori della ricerca hanno mostrato, tramite un approccio modellistico, che l’aumento delle temperature potrebbe mettere in serio pericolo non solo la produzione cerealicola europea ma anche la sua salubrità.

Se l’accordo di Parigi sul contenimento del riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale è certamente da ritenere un successo dal punto di vista politico, nello specifico lo studio dimostra come a tale livello di riscaldamento corrisponderebbe un aumento deciso del “rischio aflatossine” nei cereali e in modo preoccupante per quanto riguarda il mais.

Le aflatossine sono prodotte dal metabolismo secondario di alcuni ceppi fungini, in particolare di Aspergillus flavus, che si sviluppano su numerosi substrati vegetali come i cereali (con particolare riferimento al mais), oggetto dello studio. La

tossina di maggiore interesse tossicologico è senza dubbio l’aflatossina B1 in quanto genotossica, epatocancerogena ed immunosoppressiva.

In tale contesto l’intera area produttiva che si affaccia sul Mediterraneo e le aree dell’Est Europa dovranno affrontare un deciso incremento del rischio di contaminazione (di oltre il 50%) che porterà ad un superamento dei limiti previsti dalle normative europee.

Come illustra Paola Battilani, docente di Difesa delle derrate agroalimentari alla facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, «il rischio di contaminazione per il mais dovuto al cambiamento climatico è più grave di quanto ipotizzato in precedenza e questo primo studio a livello europeo ne è la dimostrazione. Fortunatamente la ricerca si sta muovendo per fornire strumenti utili alla prevenzione del problema, quali agenti di biocontrollo e piante resistenti al fungo».
«Precisando che i rischi per i consumatori europei grazie al gran numero di controlli che vanno “dal campo alla tavola” restano oggi contenuti, afferma Carlo Brera (ISS), la preoccupazione è per l’eventuale approvvigionamento di materia prima salubre nel prossimo futuro».
«Attualmente c’è una forte propensione ad aumentare le rese unitarie e ridurre i costi di produzione nel rispetto dell’ambiente, ma è necessario adottare una serie di strategie (previsione meteo e adozione di Buone Pratiche Agricole), al fine di far fronte alla futura emergenza aflatossine, fa notare Antonio Moretti (CNR-ISPA)». Il conferimento ai biodigestori può essere un palliativo per mercati e produttori, ma non la soluzione al problema.

«Questa emergenza non è poi tanto futura: prima nel 2003, poi nel 2012 e non ultimo nel 2015 le persistenti anomalie termiche del periodo estivo hanno fatto già impennare le contaminazioni da aflatossine del mais, spiega Piero Toscano (CNR-IBIMET). La conseguenza è quella di avere sia una forte riduzione dei raccolti sia l’impossibilità di utilizzarli per l’alimentazione umana e degli animali da allevamento».

«E’ importantissimo avere indagato sulla possibilità che quello delle aflatossine fosse un rischio emergente per l’Europa», afferma Tobin Robinson di EFSA- Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ha stimolato e supportato il progetto che ha consentito di ottenere questi notevoli risultati.
Se le temperature dovessero aumentare di 5°C entro la fine del secolo, come previsto da alcuni scenari IPCC, si assisterebbe ad una situazione molto diversa, con un forte allargamento della zona di rischio per la contaminazione da aflatossina B1, soprattutto nel Sud-Est europeo, seppure con un rischio comparabile a quello attuale nelle aree precedentemente citate.

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